Isole Tremiti
Un arcipelago fortunato, quello delle Tremiti, un concentrato di mare, natura, storia e tradizioni. Sono poco più di 400 le anime, legate in modo quasi indissolubile alla loro terra, che vivono qui tutto l’anno, a volte nel totale isolamento. L’arcipelago ha due facce, una estiva, calda, un poco caotica ed una invernale, riflessiva, pacata, ma sicuramente più autentica, che rivela l’animo degli abitanti, fiero e tenace.
La piccola pesca e le ridotte attività agricole, esercitate nel periodo invernale, si svolgono con ritmi lenti, appartenenti ad altri tempi, quasi una cura disintossicante dallo stress estivo, estraneo alla vera natura delle Tremiti. Basta guardare al porticciolo di San Domino per ritrovare, allineati, i piccoli gozzi colorati, che, prima dell’avvento del turismo costituivano l’unico bene veramente fondamentale di questa gente. I gozzi che vivevano un rituale e faticoso via vai, dal mare alla terraferma e viceversa, secondo delle condizioni meteomarine. Erano un bene inestimabile ed andavano protetti ad ogni costo, anche a rischio della vita. Oggi sostano, a fianco degli storici gozzi, i moderni e velocissimi gommoni, che in pochi minuti conducono alle baie più belle delle isole. Ma la sensazione che si prova, uscendo a remi dal porticciolo, procedendo in silenzio lungo il meraviglioso litorale, con il solo rumore delle pale che sciacquano nell’acqua, è tutta un’altra poesia. I punti d’imbarco per le isole, distanti circa 12 chilometri dalle coste settentrionali del Gargano, iniziano ad animarsi in primavera; si tratta dei porti di Manfredonia, Vieste, Rodi
Garganico, Peschici e Termoli. Il viaggio da Termoli è più breve, ma quello da Manfredonia, ad esempio, ha il vantaggio (poiché aggira lo Sperone d’Italia) di mostrarci la costa garganica dal mare in una successione di magnifici scenari. Nel 1955 i turisti erano 500 l’anno, nel 1962 erano saliti a circa trentamila, attualmente sono ancora aumentati ma, nonostante ciò, le isole non sono così note ai subacquei delle grandi città del nord, mentre sono molto amate dai subacquei del Centro-Sud Italia. Forse sarà per l’assenza d’attrazioni mondane e del lusso dei grandi complessi turistici ma le Tremiti sono rimaste un mondo a parte, dotate ancora di una propria autenticità, dove il turista può godersi in pace le straordinarie bellezze naturali e le monumentali testimonianze della loro storia avventurosa. Cinque piccole isole costituiscono l’arcipelago, di natura prevalentemente calcarea. San Nicola, con l’inconfondibile stradetta che sale tra le mura e le strutture difensive dell’isola (merlature, torrette di guardia, feritoie, postazione per le armi) che porta alle case del borgo, antistanti il santuario-fortezza arroccato sulla sommità dell’isola. San Domino, la più suggestiva del gruppo, ricchissima di verdi pinete, di piccole insenature alternate ad alti dirupi, con coste frastagliate e strapiombanti nel mare verde smeraldo; un’unica, piccola spiaggia di sabbia naturale finissima, proprio dietro il porto di sbarco. Fra le due isole emergono gli Scogli del Cretaccio, della Vecchia ed altri minori, poco più di gialli ammassi argillosi, mentre dietro San Nicola si profila l’Isola di Caprara, la terza del gruppo, completamente disabitata. Conclude Pianosa, la più lontana e disabitata, dichiarata riserva marina integrale, quindi non aperta al
turismo. Nell’antichità le Tremiti erano chiamate Isole di Diomede perché, secondo una leggenda, vi morì e vi fu sepolto, l’eroe greco Diomede, che era approdato durante il viaggio di ritorno dalla guerra di Troia. I compagni dell’eroe furono tramutati da Venere in uccelli marini: le “diomedee”. Leggenda a parte, la storia è lunga ed articolata: l’Abbazia fu fondata nel VIII secolo ed appartenne ai monaci benedettini e cistercensi, per quasi duecento anni, che accumularono ricchezze inestimabili, predate dai pirati dalmati nel XIV secolo.
I lateranensi trasformarono l’abbazia in una fortezza che resistette ai turchi. Dopo il 1789 le isole restarono disabitate fino a quando i Borboni le adibirono a casa dei “lazzaroni” napoletani, da cui discendono direttamente gli attuali abitanti, tant’è vero che il dialetto napoletano è ancora diffuso tra i vecchi pescatori.